Il diario di Emilie, suicida per i bulli a scuola



Il diario di Emilie, suicida per i bulli a scuola ultima modifica: 2016-09-30T11:38:42+00:00 da Camilla Montella
I genitori di Emilie, Virginie e Yann, hanno denunciato la scuola a febbraio, accusando l’istituto di omertà: docenti e dirigenti «non vogliono parlare né di violenze né di bullismo. A loro interessa solo salvare la loro reputazione». Così, mentre la polizia porta avanti l’inchiesta, hanno deciso di pubblicare il diario della figlia per - dicono - mostrare «il male che può fare il bullismo a scuola».

Emilie viveva a Lille, aveva 17 anni, era la prima della classe in una scuola provata e anche la vittima dei compagni. Si è buttata dalla finestra nel dicembre scorso ed è morta il mese dopo.

 

Entrare a scuola 

"Mi sentivo addosso gli sguardi degli altri. Vedevo i loro sorrisetti quando mi fissavano, sentivo che guardavano le mie scarpe da ginnastica vecchie, i miei jeans sfilacciati, il mio maglione con il collo alto e il mio zainetto. Ho sentito qualcuna chiamarmi 'barbona'. Dieci metri di cortile, 156 gradini e un corridoio ci separavano dalla classe. Questo per me era come il percorso del combattente. Schivare i colpi, i calci, gli sputi. Chiudere le orecchie per non sentire gli insulti e le prese in giro. Controllare il mio zaino e i capelli. Trattenere le lacrime. Ancora e ancora. Durante questi minuti infiniti".

 

La toilette  

"Le toilette sono il solo angolo di questa maledetta scuola dove sono sicura di stare tranquilla. Riuscire a risparmiarmi un quarto d'ora di supplizio rende la mia giornata meno insopportabile. Purtroppo, questo momento di pace dura sempre troppo poco".





emile

I vestiti

"'Bisognerebbe inventare una categoria solo per lei. La tipa che non sa né vestirsi né pettinarsi, per esempio', ridacchia una ragazza. 'No, piuttosto quella che non ha capito quello che sta usando l'armadio di sua nonna - esclama la sua vicina. Pensi che sappia dell'esistenza degli specchi?' 'Ma certo che no, altrimenti sarebbe già morta di vergogna?', le risponde la prima".

Il chewing gum tra i capelli 

"Un ragazzo mi spinge, cado a terra davanti a tutti. Vedendoli ridere non sono riuscita a trattenere le lacrime. Rialzandomi a fatica ho sentito qualcuno gridare: 'Vuoi un fazzoletto?'. Attraverso il velo di lacrime ho visto che mi lasciavano dei fazzolettini usati. Ho sentito qualcosa finire sui miei capelli. Toccandoli alla ricerca di una pallina di carta o di una penna ho sentito un chewing gum, incollato a una ciocca. Nella toilette, due ore dopo, ho cercato di toglierla ma non ci sono riuscita. Ho dovuto tagliarmi la ciocca. Potevano prendermi in giro quanto volevano, sarebbe stato comunque meglio che girare con un chewing gum in testa".

 

Il silenzio della scuola  


I genitori, all’inizio, non si erano accorti di niente. Il perché lo spiega lei stessa nel diario: «Non volevo che sapessero, che provassero pena per me. Non volevo che si preoccupassero. E non volevo che mi aiutassero parlandone con il preside: le cose non avrebbero potuto che peggiorare». Quando si è decisa a farlo è andata proprio come temeva: la mamma è andata a parlarne con la scuola e le è stato risposto, racconta lei ora alla Voix du Nord, che «non potevano fare niente, che il bullismo è un fenomeno troppo complicato da fronteggiare».


La battaglia dei genitori 


Emilie ha cambiato scuola, ma ormai era troppo tardi: depressa, arriva a pesare 42 chili, finisce in ospedale e né le cure mediche né quelle psicologiche riescono ad aiutarla. Poi il suicidio. .





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